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Crisi ambientale, l’economista Mastini: “Le rinnovabili non bastano. L’unica soluzione è la decrescita”

Il ricercatore in Economia ecologica al Politecnico di Milano: “Occorre una riduzione pianificata del consumo di energia e risorse naturali. Accompagnata dalla tassazione di chi inquina di più, ovvero di chi detiene grandi patrimoni”

Crescere sempre più senza devastare l’ambiente? Impossibile: anche se aumenta l’efficienza, questa può persino produrre un consumo di energia maggiore. Le rinnovabili? Non risolvono il problema se vanno solo a coprire un aumento generale dell’energia. E con una economia in continua espansione, non ci salverà neanche l’economia circolare. Ecco perché, secondo Riccardo Mastini, ricercatore in Economia ecologica al Politecnico di Milano, la soluzione è un’altra. Cioè la decrescita, che non è recessione ma “una riduzione pianificata del consumo di energia e risorse naturali”. Accompagnata, anche, dalla tassazione di chi inquina di più: ovvero, al di là delle ideologie, di chi detiene grandi patrimoni.

Perché non si può separare aumento del Pil e impatto ambientale?

L’ideologia della crescita verde è basata sull’assunto che vi possa essere un ‘disaccoppiamento assoluto’ fra Pil e impatti ambientali, ossia una situazione nella quale mentre il Pil cresce gli impatti ambientali diminuiscono. Tuttavia le evidenze scientifiche sono sempre più inconfutabili: non ci sono prove empiriche per supportare l’esistenza di un disaccoppiamento della crescita economica dagli impatti ambientali.

Che cos’è l’effetto “rimbalzo”?

Gli aumenti di efficienza nell’utilizzo di risorse sono spesso parzialmente o interamente compensati da un aumento dei consumi, il cosiddetto ‘effetto rimbalzo’. Ad esempio, gli incrementi di efficienza delle automobili comportano una riduzione nella spesa per l’energia che le alimenta (sia questa benzina o elettricità) e tale risparmio può indurre il guidatore a utilizzare più frequentemente l’automobile o a percorrere maggiori distanze, oppure può indurre le persone a spendere i soldi risparmiati per acquistare beni o servizi che a loro volta consumano energia, come ad esempio un biglietto aereo per un weekend all’estero. Ma, anche: automobili più efficienti rafforzano un sistema dei trasporti basato sull’automobile a spese di alternative più ecologiche come il trasporto pubblico e le biciclette.

La tecnologia può aiutarci?

Le soluzioni tecnologiche a un problema ambientale possono spesso peggiorarne altri o crearne di nuovi. Ad esempio, la produzione di auto elettriche riduce le emissioni climalteranti ma determina un incremento nell’estrazione di litio, nickel e cobalto. Oppure la produzione di biocombustibili può esacerbare la deforestazione in zone tropicali. Dobbiamo avere chiaro il fatto che sostituire un impatto ambientale con un altro non è un modo di risolvere la crisi ecologica.

Perché, secondo lei, riciclare non basta?

Ad oggi l’economia globale necessita di circa 100 gigatonnellate di materie prime ogni anno per produrre tutti i beni e servizi sul mercato. Nel 2023 il riciclo forniva solo l’8% di tutte queste materie prime, il restante 92% erano risorse vergini estratte dagli ecosistemi. I processi di riciclo generalmente richiedono ancora una quantità elevata di energia e materie prime. È un cerchio che non si può chiudere.

E le rinnovabili?

L’uso di fonti rinnovabili non sta sostituendo l’uso di combustibili fossili, ma piuttosto si sta sommando a esso. A livello globale produciamo 8 miliardi di megawattora di energia rinnovabile in più rispetto a quanta ne producevamo nell’anno 2000. Ma esattamente nello stesso arco temporale, ossia dal 2000 ad oggi, la crescita economica ha fatto aumentare la domanda di energia a livello globale di 48 miliardi di megawattora. In altre parole, tutta l’energia rinnovabile che produciamo in più ogni anno rispetto al 2000 copre solo una piccola parte dell’incremento complessivo del consumo energetico. Decarbonizzare la nostra società significa innanzitutto ridurre l’uso aggregato di energia.

Ma l’aumento del Pil non produce ricchezza?

Sebbene il Pil italiano sia cresciuto di circa il 25% dal 1988 ad oggi, il 70% degli italiani non ha goduto di alcun incremento nel proprio reddito in termini reali. Questo perché i più ricchi si sono accaparrati la stragrande maggioranza di tale crescita. Siamo stati disposti a sacrificare la nostra salute, i nostri diritti come lavoratori, il tempo libero, siamo stati disposti ad accettare lo smantellamento dello stato sociale in nome del rilancio della crescita economica. Una crescita considerata misura del benessere collettivo mentre in verità sacrifica le vite di molti per il profitto di pochi.

Le emissioni, lei sostiene, sono legate alla ricchezza, al di là delle credenze individuali. In che senso?

Il censo è la singola variabile con la più stretta correlazione con l’impronta ecologica di un individuo. Focalizzandoci sul cambiamento climatico, scopriamo che in Italia il 10% più ricco è responsabile per una quota di emissioni pari a quella del 50% più povero. E ancora più sconcertante è che l’1% più ricco, un gruppo composto da soli 600mila individui, genera una quota di emissioni pari ai 12 milioni di italiani più poveri.

Come far sì allora che questa cosiddetta “polluter elite” inquini di meno?

Occorre far attenzione nell’elogiare la tanto elogiata carbon tax: infatti le imposte indirette applicate sui beni e servizi acquistati sono intrinsecamente regressive. Dobbiamo perciò focalizzarci sulle imposte dirette, ossia quelle sugli alti redditi e sui grandi patrimoni. Occorre una patrimoniale cumulativa e progressiva. Cumulativa per tassare la ricchezza nel suo valore complessivo e non per singoli frammenti. Progressiva per poter procedere per scaglioni. Infine serve una severa tassa di successione, perché Picketty ha dimostrato che l’eredità è il meccanismo più potente di concentrazione della ricchezza. Ma c’è un altro aspetto.

Quale?

Chi si trova in povertà non può scegliere se vivere in centro o in periferia, se mangiare biologico o cibo spazzatura, se avere la casa coibentata o ad alta dispersione termica. Deve semplicemente adottare lo stile di vita meno dispendioso. Che non è automaticamente il meno impattante. Arriviamo all’assurdo che al di sotto di certi livelli di reddito, l’impronta ambientale non è determinata dalla ricchezza, ma dal livello di povertà. Occorre perciò distinguere fra ‘emissioni di sussistenza’ ed ‘emissioni di lusso’, dovute invece ai bisogni superflui.

Lei è un teorico della decrescita. Può spiegarci in cosa consiste?

Con il termine ‘decrescita’ s’intende una riduzione pianificata del consumo di energia e risorse naturali al fine di riportare l’economia in equilibrio con la biosfera. La decrescita non è recessione, è una politica pianificata e coerente per ridurre l’impatto ecologico, ridurre le disuguaglianze, e migliorare il benessere dei cittadini.

In conclusione, cosa bisognerebbe fare?

Ci sono tre interventi essenziali che un Paese deve attuare affinché la decrescita sia socialmente desiderabile. Il primo è assicurare a tutti un reddito di base così da poter condurre un’esistenza dignitosa, finanziandolo ad esempio con una una tassa patrimoniale progressiva. Inoltre, serve assicurare a tutti l’inclusione lavorativa, redistribuendo il quantitativo totale di ore di lavoro in maniera equa. Infine, occorre investire in servizi pubblici universali di alta qualità che sono più efficienti da gestire in termini di costi economici ed impatti ambientali rispetto ai loro omologhi privati.

da il Fatto Quotidiano

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